Mindfulness
Sezione a cura della Dott.ssa Giulia Masini
La mindfulness rappresenta uno degli insegnamenti centrali della psicologia buddhista che con il termine consapevolezza (sati nella lingua pali, mindfulness in inglese), indica una continua e non giudicante attenzione al flusso della coscienza, dei pensieri, delle emozioni e degli stati mentali.
Coltivare questa attitudine aperta e non giudicante consente di rapportarsi alle esperienze interiori in modo sempre più aperto, maturo e sensibile (Valli, 2020). Questa pratica arriva in Occidente grazie al pionieristico lavoro di Jon Kabat-Zinn che alla fine degli anni ’70, elaborò un protocollo di gestione dello stress (MBSR) fondato su pratiche meditative di antica tradizione buddhista adattate al contesto della medicina comportamentale. L’ampia letteratura scientifica sul tema, dimostra come la mindfulness sia divenuta negli anni uno degli elementi centrali all’interno di protocolli e modelli terapeutici validati scientificamente e integrati con la psicoterapia cognitivo-comportamentale (tra i quali Mindfulness-Based Stress Reduction, la Mindfulness-Based Cognitive Therapy, la Dialectical Behaviour Therapy, l’Acceptance and Commitment Therapy e la Compassion Focused Therapy), per il trattamento di un’ampia gamma di disturbi psicologici, malattie organiche, sindromi dolorose e croniche.
La pratica di mindfulness ha l’obiettivo di incrementare la consapevolezza dei propri pensieri, delle proprie emozioni e sensazioni fisiche, assumendo un atteggiamento non giudicante da “osservatore distanziato” rispetto a ciò che accade nel corpo momento per momento.
Nello specifico inoltre questo strumento risulta particolarmente utile per le persone con vissuti traumatici, quando integrato con approcci terapeutici tra i quali ad esempio la Terapia Cognitivo-Comportamentale, l’E.M.D.R., la Terapia Sensomotoria. Chi sopravvive ad esperienze traumatiche, vive una minore capacità di autoregolazione degli stati emozionali e perciò sperimenta in maniera intensa e pervasiva, risposte emotive legate all’ansia, alla paura, al senso profondo di vergogna, alla rabbia e al disprezzo verso la propria persona, con la sensazione di essere impotente, bloccat* nel controllare il proprio corpo, sviluppando così convinzioni estremamente negative e disfunzionali verso di esso e verso la propria persona. (Liotti, 2011).
Poichè lo stress post-traumatico porta la persona a vivere il presente come se fosse un passato senza fine, affinchè sia possibile un reale cambiamento, il corpo ha bisogno di apprendere e sentire che il pericolo è passato e di poter quindi vivere nella realtà presente sperimentando sicurezza. Le persone traumatizzate, sono spesso catturate in modo automatico da stimoli che richiamano l’evento traumatico (trigger).
Questi processi automatici, impliciti e quindi non mediati dalla consapevolezza cosciente fanno sentire le persone molto vulnerabili e incapaci di gestire la loro emotività, le sensazioni corporee e in generale il mondo interno. La pratica di mindfulness permette di imparare a dirigere in modo intenzionale l’attenzione favorendo un senso di sicurezza e aumentando la stabilizzazione.
Più cresce il senso di padronanza, più sperimentiamo come esseri umani un maggior senso di autofficacia; questi sono elementi fondamentali per lavorare sulla capacità di lasciar andare, ovvero la possibilità di interrompere i processi di critica interiore e giudizio, che come circoli viziosi, alimentano emozioni negative e azioni impulsive. Chi ha un storia traumatica, spesso vive come prigionier* della propria mente che, nel tentativo inconsapevole di ripristinare nel caos un senso di controllo, continua a generare processi di pensiero disfunzionali che in realtà mantengono la persona in uno stato di allarme impedendo di realizzare che il trauma è davvero concluso.
Per accettare il proprio vissuto e poterlo rielaborare e integrare, ciascuna persona ha il diritto di sentire di poter tollerare la sofferenza senza negarla o dissociarla, (ri)cominciando a vivere e smettendo di sopravvivere (Stagi, 2021)