Le bugie dei bambini
Numerosi sono gli studi riguardanti le bugie dei bambini, alla cui base è possibile individuare due principali motivazioni: la prima è inerente il valore pedagogico che ha caratterizzato la psicologia dello sviluppo fin dal suo sorgere (le bugie dei bambini vengono studiate per governarle o prevenirle); la seconda interessa invece l’ambito epistemologico e in questo caso le bugie vengono studiate per comprendere il modo in cui nel bambino si forma la capacità rappresentativa che vede la menzogna come un caso particolarmente interessante di violazione della corrispondenza tra realtà e rappresentazione.
Nei primi anni del secolo Clara e William Stern, dopo alcune ricerche sulle bugie dei propri figli e di altri bambini, conclusero che alcuni casi di menzogna erano da considerarsi affermazioni false che possiedono lo scopo di non prendere atto di qualcosa di sgradevole.
Gli studi di Stern sono indicati da Piaget come il principio di una serie di lavori sulle diverse tipologie di menzogna infantile.
Nel suo celeberrimo libro sul giudizio morale, utilizzando la tecnica dell’intervista semi-strutturata, Piaget riporta i “colloqui clinici” condotti con bambini di diversa età:
6 anni
Ad esempio, un soggetto di 6 anni che ha appena definito la bugia – una parola cattiva – alla richiesta di dire una di queste parole cattive risponde:
– Carogna
– E’ una bugia?
– Si’
– Perchè?
– Perchè è proibito dire parole cattive
anche se poi riconosce correttamente come bugia l’affermazione di un ragazzo che nega di aver rotto alcune tazze pur essendo il responsabile del malanno.
Nell’ esempio sopra riportato si nota come i bambini di 5 o 6 anni confondano bugie con sbagli involontari e parolacce, utilizzando il criterio della disapprovazione o della punizione da parte degli adulti per identificare la bugia.
Piaget interpreta tali risposte come espressione di una moralità “eteronoma” , dove la regola dipende da una fonte esterna al soggetto e non da una razionalità intrinseca.
Fanciulli
Invece, nella fanciullezza, grazie alla collaborazione con i pari, i bambini acquistano una moralità “autonoma”, affermando che non bisogna mentire perchè nessuno saprebbe altrimenti come stanno realmente le cose.
– Due più due fa cinque, è una bugia?
– Sì, è una bugia
– Perchè?
– Perchè non è giusto
– Il ragazzo che ha detto questo, che due più due fa cinque, lo sapeva o si è sbagliato?
– Si è sbagliato
– Allora, se si è sbagliato, ha detto una bugia o no?
– Sì, ha detto una bugia
– Cattiva o no?
– Non molto cattiva
In questo caso si tratta di una bugia più avanzata ovvero di “cosa non vera”, anche se a questo livello non esiste ancora una distinzione tra menzogne intenzionali ed errori.
E’ tra i 6 e i 10 anni che emerge gradualmente la concezione di bugia che Piaget considera come deformazione intenzionale della verità.
Ciò è riscontrabile nel seguente esempio: “Quando si mente, è che si fa apposta. Quando si sbaglia, è che non si sa.”
Per quanto riguarda il motivo per cui non si dovrebbero dire bugie, Piaget ha rintracciato due diversi tipi di concezioni: per i bambini più piccoli non si deve per evitare una punizione ed il criterio per valutare la gravità di una menzogna è proprio l’entità e l’immediatezza del castigo.
“Non importa, la mia mamma non vede!”
Grandi
I bambini più grandi invece svincolano il giudizio morale dal castigo, seppur con qualche esitazione.
– Perchè si viene puniti
– Se non si sapesse che è stata detta una bugia, sarebbe cattiva lo stesso?
– Sarebbe cattiva, ma di meno
– Perchè sarebbe cattiva?
– Perchè è lo stesso una bugia.
Riassumendo, per Piaget, nel mondo interiore del bambino in età prescolare, non c’è una netta distinzione tra fantasia e realtà.
A questa età spesso il bambino gioca con le parole, trasformando il “per finta” in “per davvero”. Se le bugie diventano così frequenti da indurre il bambino a costruirsi un mondo fatto di illusioni, sogni e desideri che non hanno nulla a che fare con la realtà che sta vivendo, significa che la sua realtà non gli piace o lo fa particolarmente soffrire.
Attorno ai 7 anni il bambino riesce a distinguere chiaramente il vero dal falso.
E’ con l’inizio della scuola elementare che si avvia il periodo delle operazioni intellettuali e si sviluppa gradualmente il giudizio morale.
Joseph Perner ha dimostrato che la competenza dei bambini di età prescolare nei vari campi è molto maggiore di quella prevista dalla teoria piagettiana. Più precisamente gli studi sulla bugia si inquadrano nel filone di indagini sulle “teorie della mente” che il bambino costruirebbe a partire dal secondo anno di vita.
L’interesse iniziale non è morale ma epistemologico: la bugia è infatti un buon modo di accedere alle concezioni infantili sul funzionamento mentale.
Coma afferma Perner, si può distinguere meglio il duplice significato di rappresentazione come processo o come oggetto, cioè come un’attività mentale che connette pensieri, parole ed immagini a determinati referenti, oppure come prodotto che deriva da tale attività.
Per riuscire a dire bugie un bambino deve sapere:
- come stanno le cose in verità (ad esempio che c’è un pezzo di cioccolato in una certa scatola di colore verde);
che si possono comunicare dei fatti verbalmente, o con altri mezzi (ad esempio si può mostrare la scatola in questione con il dito utilizzando in questo modo il linguaggio non verbale); - che tale informazione porterà il bambino a conoscere i fatti comunicati proprio nella forma in cui gli sono stati presentati (il bambino a cui l’abbiamo detto penserà che la cioccolata è nella scatola verde);
- che non necessariamente gli altri (gli osservatori) sanno tutto ciò che noi sappiamo (ad esempio un altro può ignorare che la cioccolata è nella scatola verde);
- che si possono comunicare fatti diversi dalla realtà (ad esempio dire che la cioccolata è nella scatola rossa e puntare il dito verso tale scatola anziché quella verde);
- che l’informazione falsa porterà l’interlocutore a costruire una falsa rappresentazione della realtà (credere che la cioccolata sia realmente nella scatola rossa anzichè in quella verde).
Gli studi di Perner lo portano a criticare la teoria di Piaget, sostenendo che i bambini di età inferiore ai 3-4 anni sono già capaci a controllare le espressioni delle emozioni. Ad esempio noi siamo capaci di sorridere a una persona odiosa ma importante, di nascondere il disappunto e di mostrarci cordiali mentre in cuor nostro proviamo disprezzo.
Wellman sostiene che i bambini di tre anni sono già in grado di comprendere alcune differenze tra realtà e pensiero, consentendo loro di distinguere errori da un lato e bugie e scherzi dall’altro, cioè di riconoscere che nel primo caso il parlante pensa che quanto dice sia vero, mentre negli altri due sa che è falso. Ci si può dunque attendere che anche se i bambini sono in grado di dire bugie già a 4 anni abbiano tuttavia qualche difficoltà a distinguere altrettanto precocemente le bugie dagli scherzi.
Coleman e Kay hanno dimostrato che, per gli adulti, una bugia è caratterizzata dalla simultanea presenza di tre condizioni:
- il sapere di aver detto una cosa falsa
- l’intenzione di far credere l’affermazione falsa
- la falsità oggettiva dell’affermazione.
I bambini però sembrano accontentarsi anche di una sola di queste caratteristiche per definire bugiardo un atto comunicativo.
Tra i 4 e i 7 anni circa, l’unico criterio seguito dai bambini per ritenere bugia un atto comunicativo è la sua oggettiva falsità; solo verso i 10-11 anni si inizia a considerare la consapevolezza di aver detto una cosa non vera. Solo per gli adulti quindi, è un criterio importante l’intenzione di far credere il falso.
Possiamo dunque dedurre che Piaget non aveva sbagliato del tutto considerando relativamente tardiva la piena comprensione di bugia, anche se la definizione del suo concetto risulta troppo restrittiva.
Dal punto di vista dei genitori è fondamentale non accusare un bambino etichettandolo come “bugiardo”, poiché ciò potrebbe comportare una diminuzione della fiducia in sè stesso e nei suoi genitori. Inoltre tale attribuzione negativa potrebbe diminuire anche la sua sincerità. Di fronte ad una menzogna bisognerebbe anche evitare di reagire con la collera, con prediche eccessive o dando troppo peso alla bugia: sarebbe meglio spostare l’attenzione sui fatti e sui comportamenti che ne sono all’origine.
Considerando l’apprendimento per imitazione (la sincerità e la bugia spesso si imparano dai genitori) sarebbe opportuno non mentire al bambino, neanche quando pone delle domande difficili e imbarazzanti, perchè ciò fa sentire il bambino profondamente tradito e ferito e quindi in qualche modo autorizzato a mentire a sua volta. Quando un bambino mente, suscita nell’adulto sentimenti contrastanti, come il pensare che lo faccia con lo scopo di ingannare o sminuire l’autorità del genitore, ma non è sempre e solo così.