Il riconoscimento della tristezza, della paura e della rabbia in bambini che vivono conflitti bellici
Il riconoscimento delle emozioni richiede un osservatore che sia in grado di correlare l’espressione facciale con lo stato emotivo. Una corretta identificazione di un’emozione coinvolge l’uso di informazioni dinamiche sui movimenti muscolari del viso al fine di categorizzare gli stati emotivi e predirre i comportamenti degli altri individui (Ekman and Oster, 1979; Adelmann and Zajonc, 1989). Spesso, nelle interazioni sociali abituali, l’osservatore tende a non aspettare finchè l’espressione facciale dell’altro sia al suo apice per identificare il suo stato emotivo. Al contrario, forma un’informazione parziale dell’espressione emotiva, così da avere un’idea generale dei sentimenti della persona sotto osservazione. Questo rapido ed accurato riconoscimento dei segnali emotivi facilita il funzionamento sociale ed è guidato dall’esperienza e dalla comprensione emotiva propria di chi osserva l’espressione facciale dell’altro.
In quanto tale, il riconoscimento delle emozioni rappresenta una complessa acquisizione dello sviluppo per il bambino.
Gli studi sui bambini che hanno vissuto esperienze emotive atipiche ( coloro ad esempio che hanno subito maltrattamenti e abuso) dimostra che l’esposizione durante la prima infanzia a livelli elevati di ostilità e paura, compromette la capacità di riconoscere le emozioni, così che il bambino tende ad identificare le espressioni facciali della rabbia anche di fronte ad input sensoriali più lievi (Pollak and Sinha, 2002; Pollak et al., 2009).
Gravi traumi nell’infanzia possono essere anche associati ad eventi quali l’esposizione al terrorismo, al conflitto e alla guerra. In uno studio sugli effetti prodotti dall’esposizione al terrorismo sulla capacità di riconoscimento delle espressioni emotive nei bambini, Scrimin et al. (2009) hanno evidenziato come, rispetto al gruppo di controllo, i bambini esposti a situazioni traumatiche erano più propensi a riconoscere le espressioni facciali della tristezza e della rabbia confondendole con l’ostilità. Inoltre, tendevano a presentare più sintomi di tipo depressivo (Moscardino et al., 2010).
Le ricerche condotte in paesi in cui vi sono guerre civili e conflitti indicano che l’esposizione di bambini alla violenza di massa è associata ad elevati livelli di PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress) e stress psicologico (Morgan and Behrendt, 2009).
Nello studio condotto da M. A. Umiltà, R. Wood, F. Loffredo, R. Raverae V. Gallese[1] sono stati considerati gli effetti prodotti dall’esposizione passiva (civili) e attiva (bambini soldato) a traumi e a violenza di massa sul riconoscimento delle espressioni emotive. I bambini reclutati per lo studio sono oggi diventati adulti, ma erano tutti minorenni ai tempi della guerra civile in Sierra Leone (1991-2000).
E’ stato osservato come sia i bambini civili che quelli soldato erano in grado di riconoscere le espressioni facciali delle emozioni tranne che per l’emozione della tristezza, che era difficilmente riconosciuta nel secondo gruppo di soggetti. In particolare, entrambi i gruppi di bambini avevano difficoltà a riconoscere la tristezza quando questa era espressa ai massimi livelli, tendendo a confonderla con la rabbia. I bambini soldato, nelle situazioni di dubbio nel classificare le emozioni, tendevano inoltre ad attribuire con maggior facilità l’etichetta emotiva della rabbia, mentre i civili la paura.
Sono dunque necessari altri studi al fine di chiarire la tendenza a produrre errori nei confronti della classificazione dell’espressione emotiva della tristezza.