Musicoterapia: tra suono e comunicazione
La musicoterapia può essere definita una disciplina paramedica, che utilizza il suono, la musica, il movimento per creare un vincolo tra il terapeuta e il suo paziente o gruppo di pazienti, con l’obbiettivo di migliorare la qualità della vita e di riabilitare e/o recuperare i pazienti per la società.
Con questo approccio sistematico la musicoterapia emerge e si delinea come una scienza di recente formazione, anche se l’idea di attribuire una valenza terapeutica alla musica è nota fin dall’antichità ed esplicitata dallo stesso Ippocrate.
La valenza della musicoterapia è psicoterapica perché ha a che fare con la psichè cioè il”soffio “ vitale che caratterizza l’essenza dell’uomo espressa con dei “processi consci e inconsci attraverso i quali un soggetto costruisce le proprie risposte comportamentali”. (GALIMBERTI, in: Dizionario di Psicologia, voce: Psicologia, Torino 1994, p.716)
Inoltre la musicoterapia di cui si tratta è una metodica clinica, poiché il suo scopo non è ricreativo o ludico, ma terapeutico. Mentre è improprio pensare che il solo utilizzo, seppur strutturato, della musica possa portare alla “guarigione” il soggetto in carico, è invece opportuno credere che un altrettanto valido obiettivo di questa disciplina sia la “riabilitazione” del paziente attraverso un linguaggio, quale è la musica, che ha diretto accesso alle emozioni e ai ricordi.
Questo permette, a breve e a lungo termine, un miglioramento della capacità relazionale , comportamentale e della qualità della vita della persona.
Il suono, canale non verbale preso a strumento di comunicazione tra il musicoterapista e il suo paziente, in musicoterapia ha un significato diverso da quello assunto nella più comune accezione. Infatti il termine “musica” in mt. viene generalmente usato in un’accezione più ampia , corrispondente piuttosto al significato di “universo sonoro” ( Poatacchini-Ricciotti-Borghesi, Musicoterapia, Roma, 2001, p.29 ), in cui i materiali sonori in esso utilizzabili non sono solo quelli dotati di un’organizzazione strutturale ed estetica complessa tipica della musica formalmente intesa , ma anche i cosiddetti suoni comuni, cioè quelli liberi dalle regole musicali canoniche, e tuttavia acusticamente significativi, come le sonorità corporee, degli oggetti e dell’ambiente, senza affatto escludere la “sonorità” del silenzio.
Ciò è possibile perché in un setting musicoterapico la scelta e l’utilizzo dei suoni è finalizzata non ad un ascolto di tipo estetico, ma piuttosto alla comunicazione.
Suono e comunicazione risultano quindi essere i due poli intorno ai quali si organizza e si sviluppa principalmente l’attività della musicoterapia.
C’è una ragione di ordine anatomico che può spiegare questa connessione.
Nell‘encefalo il sistema limbico forma infatti una rete di nuclei cerebrali interconnessi implicati nei meccanismi soprattutto dell’emozione e dell’apprendimento. Lì è il luogo dove si depositano le memorie sonore più profonde arcaiche e dimenticate.
La percezione del ritmo, che stimola risposte cinestesiche automatiche (negli animali e nell’uomo) si sviluppa a livello subcorticale nel talamo, nell’amigdala, nell’ippocampo, mentre l’armonia che è un prodotto intellettualmente più evoluto (di tipo logico-deduttivo) si sviluppa solo a livello corticale, ed è quindi una prerogativa esclusivamente umana.
Inoltre che la musica sia una forma di linguaggio lo si intuisce anche dalla sua posizione nell‘encefalo, dove nel lobo temporale si osserva che i centri del linguaggio e della musica sono molto ravvicinati.
Ancora sotto il profilo biologico è bene ricordare che la relazione simbiotica feto-madre è scandita da sonorità che non si perdono nel tempo poiché determinano un imprinting mnestico incancellabile. Sono gli stimoli interni ed esterni provenienti dalla madre a costituire il primo complesso di comunicazione non verbale tra i due, quali ad esempio i rumori delle pareti uterine , il suono del battito cardiaco e della voce materna.
Proprio perchè il suono è insito in ognuno di noi fin dalla nascita, tanti sono gli ambiti con cui la musicoterapia può rivelarsi efficace. Oltre ai contesti in cui progetti di musicoterapia sono utilizzati a scopo preventivo, essa è ampiamente utilizzata anche in ospedali e strutture sanitarie a scopo riabilitativo. L’intervento di tipo preventivo è caratterizzato dall’impiego dell’elemento sonoro-musicale con finalità contenitive e maturative, ed effettuato soprattutto in contesti scolastici con classi di allievi normodotati.
In ambito clinico è utilizzata per potenziare deficit sia motori (come nel caso della malattia di Parkinson o delle disabilità) che intellettivi, oppure con patologie con un’ importante componente psichiatrica, come schizofrenia, autismo, anoressia, dove lo scopo dell’intervento musicoterapico, adattato su ogni specifica patologia e paziente, avrà la finalità di attenuare il disagio psichico e il ritiro sociale.
Un intervento sul benessere della persona attraverso la musica (in questi casi la mt sarà di tipo recettivo, basato sull’ascolto di brani musicali scelti) viene effettuato anche con malati terminali e in stato di coma, situazioni estreme caratterizzate entrambe da stati di isolamento e regressione del soggetto; da stati di ansia e solitudine nei familiari.
La presenza e l’intervento del musicoterapista in queste situazioni richiede anzitutto riconoscimento ed elaborazione da parte sua dei propri nuclei regressivi e di morte, nonchè un atteggiamento di ascolto e di recettività verso il paziente, aspetti che gli permettono di sviluppare un programma concreto d’intervento anche di breve durata.
Restando nell’ambito clinico, anche nel contesto delle demenze è ossevabile quanto l’approccio unicamente farmacologico al paziente abbia scarse possibilità di riuscita, mentre il trattamento risulta più completo ed efficace se ai farmaci viene accostato un intervento che consideri anche la qualità di vita del malato, ossia che si occupi, oltre che dei suoi problemi fisici, della sua sfera affettiva, cognitiva e relazionale.
A questo scopo, si ritiene che il metodo della stimolazione musicale seguita da una conversazione finalizzata con i pazienti possa offrire al malato una possibilità di rilassamento e di socializzazione, “contenendo” i disturbi comportamentali.
Infatti tale metodo, a differenza della terapia farmacologica, presuppone l’intervento di esseri umani in qualità di “agenti terapeutici”, condizione ideale perché il paziente acquisti fiducia verso sé stesso e gli altri, aspetto indispensabile in ogni relazione terapeutica autentica.
Chi volesse indirizzare sè stesso o un familiare verso un trattamento musicoterapico deve considerare che un musicoterapeuta solitamente, in base alla sua formazione, può lavorare prendendo spunto da uno dei cinque modelli di musicoterapia che sono stati riconosciuti nel 1999 dal Congresso di Washington:
- il modello psicodinamico di R. O. Benenzon
- il modello di P.Nordoff e Robbins
- il modello di Musicoterapia analitica di Mary Presley
- il modello G.Y.M (GUided Imargery Music)
- il modello comportamentistico nordamericano (Behavioural Music Therapy)
Ad essi, si aggiungono i modelli di Alvin e Orff, spesso utilizzati anche non riconosciuti.
Questi metodi si differenziano tra loro soprattutto in base al tipo di musicoterapia applicata: se attiva o recettiva.
La musicoterapia attiva prevede l’esecuzione e la produzione musicale, mentre la musicoterapia passiva o recettiva si basa sull’ascolto musicale guidato.
Alla prima appartengono il modello di Benenzon, quello di Nordoff-Robbins e quello junghiano di Mary Presley, mentre i due metodi di musicoterapia recettiva sono il G. Y. M. (Immaginario Guidato e Musica) e quello comportamentistico nordamericano (Behavioural Music Therapy).
Alcuni di questi metodi si improntano più all’improvvisazione musicale o al dialogo prettamente sonoro attraverso l’uso degli strumenti, altri, più di matrice psicodinamica, (dove solitamente il musicoterapeuta ha anche una formazione in psicologia ) fanno seguire all’utilizzo della musica una verbalizzazione sui contenuti e sulle emozioni da essa evocati.
Pur differenziandosi tra loro, questi diversi indirizzi musicoterapici si accomunano per il ruolo sempre attivo di operatore e paziente: essi risultano entrambi protagonisti del cambiamento e del raggiungimento delle mete intellettive, emotive, fisico-motorie che la musica permette di conseguire. Se si instaura un canale di comunicazione tra musico terapista e paziente, e questo rimane libero e aperto, tra loro si stabilisce un rapporto musicale che apre la via a competenze innate.