Quel tremendo bisogno di una base sicura
Sezione a cura della Dott.ssa Simona Fascendini
Quando sono rientrata dall’ospedale dopo la nascita del mio primo figlio, mi sorprendeva moltissimo notare una cosa che faceva ogni volta che lo rimettevo nella sua culla. Gli avevo preparato una di quelle culle con i bordi morbidi in modo che non potesse sbatterci contro e gli avevo anche comperato un riduttore poiché lo spazio mi sembrava troppo grande per lui. Ogni volta che lo rimettevo dentro lui cercava di avvicinarsi al bordo più vicino come se volesse spalmarcisi contro. Mi stupiva questa cosa e mi inteneriva moltissimo vedere questo piccolo esserino compiere questo piccolo movimento, ogni volta, tenacemente. Sapevo, che lui stava cercando un confine, un bordo sicuro, un contenimento per non sentirsi nudo, scoperto, vulnerabile.
E’ questo ciò che continuiamo a fare in seguito, per tutta la vita. Cerchiamo un bordo, un confine che contenga il nostro senso di fragilità, la nostra insicurezza. Odiamo sentirci alla mercé del vuoto, ci prende una sorta di “agorafobia ancestrale” che non ha a che fare tanto con l’ansia, quanto con l’angoscia, con il senso di essere smarriti, infinitamente piccoli ed impotenti.
Siamo in cerca di un posto sicuro. Di qualcosa che ci faccia sentire protetti. Da sempre ambiamo bisogno di ritrovare un buon contenitore dentro il quale, l’idea utopica sarebbe quella di, vivere sereni e di potere soddisfare tutti i nostri bisogni; da quelli primari fino all’autorealizzazione.
Il bisogno di sicurezza, di trovare qualcosa che ci faccia sentire sicuri, è uno tra questi bisogni primari. Il primo a studiarlo in psicologia fu il Prof. John Bowlby psicologo, medico e psicoanalista britannico, che ha elaborato la Teoria dell’Attaccamento che ci apre uno sguardo su come, fin da piccoli, gli esseri umani e i mammiferi in generale, siano alla ricerca di una base sicura. Un luogo in cui stare e sentirsi a posto, invulnerabili, protetti.
Una base sicura non è solo un “luogo” in cui restare, ma è anche un “posto” da cui partire per andare alla ricerca, all’esplorazione del mondo circostante. La fase esplorativa, che nei bimbi inizia già prima dei 12 mesi, probabilmente non si conclude mai poiché in realtà viene solo modificato il contenuto di ciò che esploriamo. Se da piccoli ce ne andavamo in giro a gattoni per la stanza e avevamo bisogno, a livello psichico, di sapere che nostra madre era reperibile e disponibile sempre per noi in quella stanza o che sarebbe tornata a riprenderci al nido in cui ci aveva lasciati, da grandi esploriamo viaggiando, acquisendo nuove conoscenze dal mondo circostante ed instaurando relazioni con l’altro dove portiamo il nostro personale stile di attaccamento che abbiamo formato nei primi mesi di vita (12-18 secondo Bowlby).
Secondo Bowlby lo stile di attaccamento si dividerebbe di quattro diverse tipologie: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente ed insicuro disorganizzato. Avere uno stile di attaccamento o un altro dipenderebbe molto da come si sono sviluppate le relazioni precoci con le nostre figure di riferimento primarie (i cosiddetti care-givers, spesso i genitori, o chiunque nei primi anni di vita si prenda cura in modo costante e frequente di noi). Se il messaggio che ci è arrivato, durante queste interazioni primarie, è stato un messaggio di “sicurezza” e siamo riusciti a mentalizzare (ad inserire nella nostra mente in modo stabile) che l’altro sarà disponibile per noi anche se si assenterà temporaneamente e se abbiamo interiorizzato che l’altro è prevedibile, (“costante e sufficientemente buono” per dirlo usando le parole di un altro psicoanalista il Dott. Donald Winnicott), allora il nostro stile di attaccamento avrà la probabilità di essere sicuro concedendoci di conseguenza la possibilità di instaurare relazioni interpersonali sane e proficue dove non interferisca la paura di perdersi nell’altro, di esserne invasi o di perdere l’altro e di esserne abbandonato.
Se, al contrario, qualcosa nel sistema di costruzione della base sicura del bimbo è andato meno bene allora gli stili di attaccamento con cui potremmo affrontare le nostre relazioni future saranno più vicini ai tre sottotipi indicati da Bowlby come insicuri. L’evitante tipico di coloro che tendono a scansare il coinvolgimento interpersonale intimo o a “fuggire” ogni volta che l’intimità si palesi all’orizzonte; lo stile ambivalente che connota coloro che sono in contraddizione, come intrappolati tra la voglia di avere una relazione ed il timore per un eventuale abbandono o una invasione da parte dell’altro e quello disorganizzato che contraddistingue quelle strutture caratteriali che gestiscono le relazioni in modo caotico e confusivo con non poche fatiche nel mantenere la costanza del rapporto.
Insomma la sicurezza, la base sicura di cui è alla ricerca mio figlio spalmandosi fin dai primi giorni sui bordi della culla, sembra essere un costrutto fondante per tutti noi esseri umani e per i mammiferi in generale. Un costrutto innato sul quale si fonda la nostra capacità di instaurare relazioni buone e nutrienti per noi stessi e per gli altri finalizzate al soddisfacimento dei nostri bisogni più profondi e alla regolazione delle emozioni che consideriamo peggiori come la paura, il senso di solitudine e vuoto e la tristezza.
Una frase di un antico filosofo e scrittore cinese Lao Tzu recita: “Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti, amare profondamente ci rende coraggiosi”.
Mi piace molto pensare che queste siano solo le premesse e che noi genitori abbiamo il difficile, ma entusiasmante compito di costruire ogni giorno nei nostri figli il desiderio e le capacità per comprendere e camminare nel mondo che li attende e la base sicura da cui partire per farlo.
Riferimenti bibliografici
- “La teoria dell’attaccamento” J. Bowlby
- “Esplorazioni psicoanalitiche” D.W. Winnicott
- “Manuale dell’attaccamento” a cura di J.Cassidy e P.R. Shaver
- “Una base sicura” J. Bowbly
- “Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità” M.D. Ainsworth
- “Motivazione e personalità” A. Maslow