Gli stereotipi di genere, il sessismo e le loro conseguenze
Che cosa sono gli stereotipi?
La parola “stereotipo” deriva dall’unione di due termini greci: stereos- (rigido) e typos (impressione) e, in psicologia, viene utilizzata per descrivere una convinzione, appunto, rigida ed ipergeneralizzata riguardante un particolare gruppo o classe di persone. Gli stereotipi, in effetti, si formano per un motivo ben preciso, e cioè aiutare gli esseri umani ad orientarsi in un mondo colmo di complessità e sfumature. Se ognuno di noi fosse costretto ad analizzare, di volta in volta, ogni singolo elemento che i nostri sensi percepiscono, la vita quotidiana diventerebbe un compito molto faticoso, se non impossibile. È per questo che, tra i nostri processi cognitivi, la semplificazione e, quindi, l’uso di stereotipi occupa un posto di rilievo. Ciò che nasce con lo scopo di aiutarci ad avere reazioni e risposte rapide, però, in questo caso assume, spesso, le caratteristiche di preconcetti, che non si basano sull’esperienza personale e sono difficilmente modificabili.
Possiamo trovare innumerevoli esempi di stereotipi nella vita di tutti i giorni: possono riguardare religioni, etnie, sessualità, politica o nazionalità. L’elemento comune, in tutti questi casi, è la focalizzazione sulle somiglianze tra i membri di un certo gruppo, piuttosto che sulle differenze che li contraddistinguono.
Che cosa sono gli stereotipi di genere?
Un ambito in cui gli stereotipi sono particolarmente duri a morire è quello che riguarda le differenze tra uomo e donna ed i ruoli che ciascuno dovrebbe ricoprire nella società: in poche parole, gli stereotipi di genere. Questi ultimi non sono, in gran parte, né positivi e né negativi, ma semplicemente generalizzazioni inaccurate delle caratteristiche maschili e femminili: ognuno di noi, però, a prescindere dal sesso, possiede interessi, attributi, desideri, pensieri e sentimenti individuali che non possono essere attribuiti a tutti le persone appartenenti al nostro stesso genere. Nonostante questo, la rappresentazione dell’”Uomo” e della “Donna” continua, ad oggi, a mantenersi rigidamente strutturata sul concetto di “complementarietà”: le caratteristiche attribuite a ciascun gruppo si bilanciano tra di loro, raggiungendo un equilibrio tra pregi e difetti; esse diventano, inoltre, “prescrittive”, ossia si impongono come norme, dalle quali allontanarsi può diventare oggetto di stigmatizzazione (Taurino, 2005).
Nella sfera emotiva, così come nell’agire, la parte femminile viene considerata come “naturalmente” predisposta alla socializzazione ed all’emotività, mentre la parte maschile come dotata di capacità di azione, prontezza e risolutezza. Le donne sarebbero portate per mantenere le relazioni sociali e prendersi cura degli altri, mentre gli uomini vengono visti come indipendenti, competitivi e tendenti all’autoaffermazione. Le donne sarebbero, per natura, dolci e delicate, mentre gli uomini forti e sicuri.
Anche le aspirazioni, gli interessi e le inclinazioni personali vengono, spesso, ricondotte al genere e semplificate in funzione di esso: alle donne non interessa lo sport, la politica o i videogiochi; le donne sanno cucinare e sono portate per i lavori di casa; le donne non hanno abilità tecniche, non sanno guidare, non hanno senso dell’orientamento e non amano le attività all’aperto. Gli uomini, dal canto loro, amano le auto; giocano ai videogames e amano lo sport; gli uomini sono disordinati e non sanno cucinare; sono bravi nelle materie scientifiche e non sono interessati alla moda. Tutto questo appare estremamente riduttivo e non rispecchia, in alcun modo, la complessità della vita e delle personalità di uomini e donne.
Sessismo e mass media
Se gli stereotipi hanno la funzione di “semplificare” la vita, a cosa servono gli stereotipi di genere? Per prima cosa, contribuiscono al mantenimento di posizioni e ruoli previsti dalla società, dal momento che la divisione culturale del lavoro viene percepita non solo come giusta, ma anche come naturale e inevitabile. In secondo luogo, poi, questi rendono più difficile, per le donne, allontanarsi da un sistema di relazioni in cui agli uomini viene attribuita competenza, mentre alle donne no.
Quando le donne vengono apertamente rappresentate come inferiori agli uomini, è relativamente semplice riconoscere il sessismo implicito in queste opinioni. Contrariamente al pregiudizio come viene tradizionalmente inteso, però, il sessismo non sempre assume una forma di ostilità palese. Nelle società moderne, al contrario, le espressioni del sessismo possono diventare, spesso, sottili ed assumere, addirittura, connotazioni positive: si pensi, ad esempio, a quando il sessismo viene presentato sotto forma di battuta o complimento (Glick & Fiske, 1996).
La visione del sessismo come ostilità verso le donne, infatti, trascura un aspetto significativo di tale pregiudizio: i ricercatori che si sono occupati di studi di genere, come Glick e Fiske (1996, 2001), lo considerano come un costrutto composto da due dimensioni, cioè, il sessismo ostile e quello benevolo. Mentre il sessismo ostile non ha bisogno di molte spiegazioni, perché ricalca la definizione classica di pregiudizio di Allport (1954, p.9) (“Il pregiudizio [etnico] è un’antipatia basata su una generalizzazione falsa e inflessibile. Può essere sentito internamente o espresso. Può essere diretto verso un gruppo nel suo complesso, o verso un individuo in quanto membro di quel gruppo.”), il sessismo benevolo può essere definito come una serie di atteggiamenti verso le donne, sempre tendenti ad una visione stereotipata e ristretta, ma avvertiti come emotivamente positivi da chi li esprime, anche se non sempre dalle destinatarie. Ad esempio, il commento di un uomo, verso la sua collega, su come sia carina vestita in quel modo, sebbene in buona fede, potrebbe minare la sensazione della collega di essere presa sul serio come professionista. Prendiamo un altro esempio, in cui un uomo si scusa, davanti ad una donna, per aver detto una parolaccia: nelle sue intenzioni, probabilmente, si tratta di una forma di educazione; per la donna, questo gesto può classificarla come appartenente ad una categoria di persone “delicate e fragili”, che devono essere protette da alcuni tipi di linguaggio.
Nonostante il sessismo benevolo sia una forma di pregiudizio dai toni più gentili, quindi, risulta comunque dannoso, perché ha maggiori probabilità di venire accettato, sia dagli uomini che dalle donne, in particolar modo all’interno di culture in cui queste ultime si sentono maggiormente minacciate dagli uomini.
Un ambito in cui gli stereotipi di genere sono, tuttora, dominanti sono i mass media: questi, allo scopo di creare messaggi comprensibili ed accettabili per il maggior numero di persone possibili, utilizzano spesso diversi stereotipi; in questo modo, però, a loro volta influenzano le opinioni e gli atteggiamenti dei fruitori. Così facendo, l’immagine del mondo che i media rimandano è, se non distorta, quantomeno incompleta.
Consideriamo, ad esempio, la rappresentazione di uomini e donne nella pubblicità. Le donne vengono ritratte, nella maggior parte dei casi, come casalinghe enormemente preoccupate per la pulizia della casa o per la preparazione della cena; come alternativa, viene presentata una donna estremamente seduttiva, “oggetto”, e non “soggetto”, del desiderio; un’altra tipologia è incarnata dalla donna il cui obiettivo principale è la conservazione della propria bellezza o forma fisica. Anche gli stereotipi maschili, però, sono ben definiti nella pubblicità: possiamo trovare il “vero uomo”, atletico, seducente e di successo, oppure l’”esperto”, che consiglia le donne sul modo in cui svolgere i servizi di casa alla perfezione, o l’uomo ritratto insieme al suo gruppo di amici, insieme ai quali trascorre il tempo in attività estremamente divertenti o avventurose (Wolska, 2011).
Un’attenta analisi, infine, del modo in cui le donne vengono rappresentate nella televisione italiana, è stata condotta dall’attivista, autrice e scrittrice Lorella Zanardo, attraverso il documentario “Il corpo delle donne”, una riflessione lucida e amara sul ristretto spazio che i media italiani “concedono” alle donne. Per un approfondimento, il documentario è visibile gratuitamente sulla pagina ufficiale del sito – Vedi il documentario ‘Il corpo delle donne’ .
Riferimenti
- Allport, G. (1954). The Nature of Prejudice. Reading, MA: Addison-Wesley.
- Glick, P.; Diebold, J.; Bailey-Werner, B.; Zhu, L. (1997). “The Two Faces of Adam: Ambivalent Sexism and Polarized Attitudes Toward Women”. Personality and Social Psychology Bulletin 23 (12): 1323–34.
- Glick, P. & Fiske, S. T. (2001): “An ambivalent alliance: Hostile and benevolent sexism as complementary justifications for gender inequality.” American Psychologist 56(2): 109.
- Glick, P. & Fiske, S. T. (1996). “The Ambivalent Sexism Inventory: Differentiating hostile and benevolent sexism.” Journal of personality and social psychology 70(3): 491.
- Taurino, A. (2005). Psicologia della differenza di genere. Roma: Carocci.
- Most J.T., Kay, A.C. (2005). Exposure to benevolent sexism and complementary gender stereotypes: consequences for specific and diffuse forms of system justification. Journal of Personality and Social Psychology 88 (3): 498 – 509.
- Wolska, M. (2011). Gender stereotypes in mass media. Case Study: Analysis of the gender stereotype phenomenon in TV commercials. Retrieved from http://krytyka.org/gender-stereotypes-in-mass-media-case-study-analysis-of-the-gender-stereotyping-phenomenon-in-tv-commercials/